Michela Murgia sull’incontro all’Ostello di Ponte Felcino

Perugia è una città dalla bellezza pedagogica e curativa: qui ti dimentichi per un po’ di molte cose brutte e ti ricordi perché quelle che brutte non sono vanno difese con il massimo della determinazione e dell’intelligenza. Gli incontri che sto facendo hanno favorito questa percezione: associazioni culturali come Nemo e piccoli festival come CaLibro sono la prova che c’è una resistenza culturale forte che ha intenzione di durare almeno quanto le mura entro cui ha la fortuna di potersi esprimere. Accanto all’incontro con i lettori si sviluppano però anche altre occasioni per parlare di cose che vanno oltre i libri che scriviamo e leggiamo; ieri ho vissuto l’esperienza forte del centro di accoglienza per i richiedenti asilo di Ponte Felcino gestito dal Circolo Arci, dove ho incontrato sia gli umbri impegnati in questo delicato lavoro umanitario, sia gli ospiti del centro, giovani africani del Mali, della Guinea, della Costa d’Avorio, del Ghana e di molte altre parti del continente: diversi tra loro per lingua e nazionalità, sono uguali nel desiderio di vita e di riscatto. La velocità con cui imparano la lingua di chi li ha accolti è il primo segnale del loro desiderio di “fare parte”. Abbiamo parlato, Yussuf ha cantato una canzone nella sua lingua in cambio di una canzone sarda, abbiamo mangiato insieme il piatto preferito di Houlo, il riso rosso speziato, e Mamadou mi ha fatto vedere un’app sul cellulare con cui traduce l’italiano in tutte le lingue africane. Stamattina incontrerò invece gli sguardi dei ragazzi italiani del convitto nazionale di Assisi “Principe di Napoli”. Spero di trovarci la stessa luce.

Michela Murgia

 

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