«Ti sorprendi che i migranti abbiano un cellulare? Sei un idiota»

Cn un titolo provocatorio, The Independent smonta uno dei luoghi comuni che stanno facendo più breccia tra gli indignados dell’ultima ora: quello che accomuna il possesso di un cellulare da parte dei migranti a una loro condizione di agio.

L’equazione, nel 2015, non torna né geopoliticamente né economicamente né logicamente.

Gli uomini e le donne arrivati in questi giorni sono per la maggior parte profughi, non migranti. Sono persone fuggite da una guerra, ancor prima che dalla povertà, e sono di ogni censo ed estrazione sociale. Tra loro vi sono disoccupati ma anche dottori, muratori ma anche operai specializzati. Nel loro Paese di origine avevano una casa, una Tv e anche un cellulare. Hanno visto distrutta la casa, lasciato sotto le macerie la Tv e portato con sé il cellulare.

Dal punto di vista economico, quest’ultimo è ormai un bene alla portata di quasi tutte le classi sociali. Prendiamo i profughi siriani. Vengono da un paese classificato dalla Banca Mondiale come «medio-basso» dal punto di vista economico, quindi non poverissimo. Un paese nel quale esistono 87 cellulari ogni 100 abitanti e in cui il guadagno medio è di 1.850 dollari l’anno.

Per comprare uno smartphone dotato del sistema Android (e quindi di fotocamera, schermo ampio e connessione internet) del costo di circa 100 dollari, in media dovrebbero mettere da parte il 5% del proprio reddito annuale: è un sacrificio non certo impossibile e fatto volentieri da quasi tutti.

Il che ci porta al secondo aspetto, quello logico. Il telefonino, anche di ultima generazione, non rappresenta più un bene di lusso, ma uno primario, per ottenere il quale i cittadini di tutto il mondo sono pronti a sacrificare altre voci di spesa.

Quella scatola di plastica e coltan è diventata, per i profughi come per noi, un bene imprescindibile per la conduzione della propria vita. Grazie a quella, i migranti restano collegati al mondo che stanno attraversando in barca; scoprono il territorio che li sta ospitando; tengono i contatti con la famiglia che hanno lasciato; ne intessono di nuovi con i connazionali che trovano sul luogo di approdo.

È l’immigrazione 2.0, fatta di gruppi WhatsApp tra i profughi per scambiarsi suggerimenti per la traversata, di rotte controllate su Facebook e di chiamate via Skype a casa. «Ogni volta che vado in un Paese nuovo, compro una scheda sim e attivo Internet per navigare sulle mappe. Una delle cose che mi preoccupano di più è quando la batteria inizia a scaricarsi», racconta Osama Aljasem al New York Times, che in un lungo reportage fra i profughi siriani e iracheni ha raccontato i nuovi bisogni dell’immigrazione.

Bisogni ai quali anche le organizzazioni umanitarie stanno adeguandosi. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha distribuito 33 mila schede sim ai rifugiati siriani in Giordania e 85 mila piccole lampade che possono anche essere utilizzate per la ricarica. Le stazioni tedesche hanno messo a disposizione aree per la ricarica dei loro celluari.

Molte fotografie mostravano profughi «rifugiatisi» temporaneamente nei pressi di una presa elettrica. Si riposavano, in attesa che a ricaricarsi fosse il loro cellulare. Avevano appena finito di attraversare il mondo, con lo zaino, qualche vestito e uno smartphone. L’avrebbero fatto davvero se non avessero dovuto?

Francesco Oggiano (fonte: Democrazy Vanity Fair)

Be the first to comment on "«Ti sorprendi che i migranti abbiano un cellulare? Sei un idiota»"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


Verifica che non sei un robot cattivo! *