E se facessimo, amiche e amici, far diventare il Bosco Didattico di Ponte Felcino il Parco dell’Accoglienza?

di Giannermete Romani

E se facessimo, amiche e amici, far diventare il Bosco Didattico di Ponte Felcino il Parco dell’Accoglienza? Sentiero e laboratorio che conduce al Festival dell’Accoglienza?
Daremmo innanzitutto nuova linfa a un luogo che è nato per condividere un’idea democratica di educazione. Ne trarremmo profitto tutti e daremmo aria ai cuori induriti e alle radici stanche.
Stamattina ne parlavo con Vivilla, la mia amica Antonella Zanotti, con lei – lei molto molto più di me – abbiamo animato momenti di leggerezza e incontro tra gli alberi di questo luogo magico. Spazio a volte temuto e evitato da molti quasi nascondesse lupi e orchi, presenze inquietanti e pericolose.
L’idea, semplice, è quella di coinvolgere, per come si può, per quello che si può, con dolcezza e senza costringere nessuno, i ragazzi dell’ostello, nel prendersi cura di questa terra piena di fiori, frutti, vita. Farli partecipare alla sua gestione, alla sua cura, alla ricerca di bellezza ma non solo. Cercando, con l’intelligenza dei sensi e delle mani, di attivarsi tutti insieme per far battere questo cuore verde tra Ponte Felcino e il Tevere.
Sarebbe una rivoluzione e forse una pernacchia pacifica per chi rimesta nel torbido.
E’ praticando l’incontro con l’altro che si generano pensieri nuovi, si creano connessioni. Ce lo ha ricordato, con la passione che le appartiene, la professoressa Falcinelli stamattina a un convegno sui ‘nutrimenti’ ispirato alla figura di Maria Montessori.
Ognuno è funzionale alla crescita del mondo e quindi lo siamo tutti. Destino degli umani, in questo momento della storia in particolare, è abitare la complessità in un’ottica di coevoluzione e creatività. E’ vitale aprirsi a una idea ‘multiversale’, non una direzione che ci mette l’uno contro l’altro ma molte direzioni che ci aiutano a sviluppare un’idea della diversità.
Tra integrazione e appartenenza, quello di cui abbiamo discusso martedi sera, dovremmo prendere atto della nostra singolare identità unica e irripetibile ma che trova il suo senso in relazione con le molteplici diversità con cui entriamo in relazione, con la pluralità pulsante dei tanti cuori del mondo.
Vedere la differenza come qualcosa che ci porta oltre, nell’universo del possibile, oltre il già noto, lo scontato, il prevedibile, l’ovvio che genera spesso stanchezza, apatia, mancanza di futuro, depressione. E quindi ricorso di massa al supermercato delle droghe legali e illegali, agli spacci trionfanti di bar puzzoni e farmacie compiacenti.
Riconoscere allora l’altro in una logica di relazione, di possibilità.
Riconoscere il protagonismo dell’altro, il suo essere parte attiva, anche con le mani come ci ricordava Sara in un post qualche giorno fa.
Affermare la propria differenza – che è ricchezza non impoverimento – in un contesto che permette all’altro di attivarsi, di essere.
Creare un ambiente dove ognuno possa sviluppare le sue potenzialità.
E questo farà bene a tutti, a quel ‘noi’ esclusivo di cui parlavamo qualche giorno fa, a un ‘noi’ che è molteplice e plurivoco nella sua natura.
Un ‘noi’ che include per diventare più forti tutti.
Insieme.

Giannermete Romani

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