Lettera nera: tra sogno e realtà

Cara madre,

ti scrivo con un po’ di pena dopo tanti anni. Non sai quanto mi manchi, non sai quanto vorrei abbracciarti e dirti dal vivo che ti voglio tanto bene. Purtroppo, adesso, è un lusso che non mi posso permettere perché non ho ancora realizzato i miei sogni. Se persevero, tu sarai la mia locomotiva. Visto che non ci sentiamo da anni, vorrei raccontarti un po’ la mia vita qui, le mie esperienze, insomma, il mio quotidiano.

Ho lasciato il paese…

Come sai, ho lasciato il paese nel mese di ottobre con l’obiettivo di proseguire gli studi qui in Italia. Prima di imbarcarmi, avevo indossato la mia più bella maglietta, quella firmata che mi aveva regalato la mia fidanzata. Per prevenire un potenziale freddo, avevo con me una giacca leggera, che avevo comprato al mercato.

Ero vestito come un principe, lo pensavo davvero.

Sull’aereo, non ho avuto paura come il mio vicino che mi teneva le mani perché temeva di cadere dal cielo. Ero più che sereno, entusiasta, fiducioso perché credevo nei miei sogni. Sognavo già al mio ritorno, al fatto di essere ricevuto come un re in famiglia, con tanti soldi.

Arrivare a Roma…

Questi pensieri mi avevano rubato un sorriso durante il viaggio fino all’arrivo a Roma. Una volta arrivato ho capito subito che l’Europa mi riservava delle grandi sorprese.

Subito, sceso dall’aereo, sono stato colpito da un freddo inspiegabile. Mamma, faceva talmente freddo che mi credevo dentro il frigorifero di casa. Tremavo ma facevo il duro per non far capire alla gente che era il mio primo giorno in Europa.

Per fortuna, dentro l’aeroporto, si sentiva bene come durante i nostri momenti più freschi. Guardavo ovunque come per dire: “anch’io sono in Europa”. Un sogno realizzato ma era solo il primo passo per raggiungere i miei obiettivi. Mentre camminavo in aeroporto, sono stato interpellato da due uomini, poliziotti vestiti da civili che dopo avermi presentato i loro distintivi mi hanno chiesto il mio passaporto, la ragione della mia presenza in Italia e dove andavo.

Il libro di italiano che avevo a casa mi è servito perché sono riuscito a rispondere così: “buon-giorno, va-do all’uni-ver-si-tà a Pe-ru-gia”. Con il sorriso, mi hanno incoraggiato e si sono congratulati.

Macchina modesta, non come quelle dei film

Tuo fratello mi aspettava fuori con la sua macchina, una macchina modesta non come quelle dei film. Lui era molto felice di vedermi. Abbiamo fatto almeno due ore di strada e guardavo il paesaggio verde con un unico pensiero: “Mamma, tornerò più forte per farti felice”.

Lo zio abita un quartiere molto tranquillo della regione Umbria. La sua casa dall’esterno è vecchia e lui ha due vicini, due bianchi, due famiglie italiane.

Tanti amici bianchi e addirittura una famiglia italiana

Lo stesso giorno siamo andati all’università dove mi ha presentato al “welcome point” come per dire “ecco, è arrivato il nuovo studente”.

Sappi mamma che tuo fratello ha tanti amici bianchi e addirittura una famiglia italiana.

Si dice che gli italiani sono razzisti

Vedendo questa cosa, mi è venuto il dubbio: “Ma, da fuori si dice che gli italiani sono razzisti e mi aspettavo questo. Invece, ho incontrato sorrisi e belle parole, forse perché lo zio è ben integrato e di rimbalzo i suoi amici stanno diventando i miei amici.”

L’italiano, il primo muro da abbattere per socializzare

Mi mancava una cosa per rinforzare i legami con gli amici dello zio e anche farmi dei nuovi amici. Mi mancava l’italiano, il primo muro da abbattere per socializzare.

Ho per fortuna avuto tre bravi professori, la zia Giuliana, la professoressa Giulia dell’Università e Paolo Bonolis.

Mamma, di sicuro non conosci la zia Giuliana. E’ una brava persona che mi ha dedicato tempo e amore condividendo con me il suo sapere. Non la chiamo zia solo per rispetto ma soprattutto per amore perché ci vogliamo tanto bene.

Per quanto riguarda Paolo Bonolis, è un presentatore TV molto famoso che anima un programma con i quiz, molto interessante. Con la sua trasmissione, ho conosciuto parole nuove che scrivevo nel mio taccuino come mi aveva consigliato la zia Giuliana. La professoressa Giulia invece insegna nella mia università, è stata paziente con me e questo mi ha dato più grinta per apprendere meglio l’italiano.

Cose che mi hanno profondamente ferito

Qualche mese dopo, avevo raggiunto un livello di lingua che mi permetta di capire alcune sfumature dell’italiano e ti giuro che avrei preferito rimanere nell’ignoranza perché ho cominciato a osservare, vedere e sentire alcune cose che mi hanno profondamente ferito.

In famiglia, mi avete sempre insegnato il rispetto dei più grandi e cerco di metterlo sempre in pratica ovunque vada. Sul pullman, mentre andavo all’università, è salita una signora di una certa età, più anziana di te mamma, ho dunque deciso di lasciarle il mio posto invitandola a sedersi. Malgrado le mie insistenze, con il sorriso lei mi ha detto di no; dopo dieci secondi, la stessa proposta di una ragazza bionda con gli occhi blu. Mi sono sentivo una vera m…. Ero al limite dal piangere ma mi sono ripreso e non mi sono scoraggiato.

Sul pullman…mi sentivo sporco…

Sai mamma, non è il peggio. Sul pullman, a volte quando mi siedo dove ci sono quattro posti, posso viaggiare con un autobus pieno senza che qualcuno si metta vicino a me e se c’è qualcuno allora è un africano o un magrebino. Prima mi sentivo sporco come una m…. ma oggi la prendo con filosofia.

Cambierai colore…

Sai che se vieni qua cambierai colore? Non si sa che colore avrai ma non sarai più nera mamma. Sarai una donna “di colore”. Prima si parlava di me in questi termini e non sapevo se fosse di me che si parlava perché nei libri di italiano che ho letto, non c’era traccia di questo appellativo per rivolgersi a noi, africani neri. E’ invece un termine molto peggiorativo per designare i negri cioè gli schiavi neri di una epoca ma la gente lo usa e non so se è in modo consapevole o inconsapevole. Intanto cerco di dire al mio entourage di non usarlo con me e di usare nero come uso bianco per chi lo è.

Rubare il lavoro…

Sai anche mamma, alcune persone dicono che noi siamo qui per rubare il lavoro. Al volte ne rido perché da anni giro alla ricerca di un lavoretto e non ho trovato niente malgrado le mie conoscenze. Difficilmente possiamo pretendere a un posto di alto livello perché, a dirlo sinceramente, la gente vede il nero come una persona che non è in grado di pensare, di riflettere, di trovare soluzioni a dei problemi. Siamo sottovalutati, anche se alcuni di noi portano con loro esperienze in grado di contribuire efficacemente allo sviluppo economico e sociale dell’Italia.

Sai mamma, essere nero in un Paese come l’Italia è abbastanza difficile perché ti rendi conto che molti non sanno niente di noi. Hanno degli schemi errati sul continente africano e sui nostri paesi. Tanti ci vedono come degli affamati, dei poveri, persone che vivono ancora all’età della pietra. Dei bambini mi hanno addirittura chiesto se avevo il mio leone o la luce a casa. Incredibile ma è una triste realtà.

La diversità…..risorse umane

Una realtà che tuo figlio cerca di cambiare inpegnandomi a distruggere questa immagine sbagliata dell’Africa e dell’africano. Qui, nessuno riconosce le mie competenze intellettuali solo perché sono “made in Africa”, ecco perché ho lasciato l’Università italiana per dimostrare a tutti che senza un titolo di studio “italiano”, posso essere una risorsa e mi impegno ogni giorno per fare capire che la conoscenza è universale. Non è facile mamma ma lo faccio per te, per il continente africano ma soprattutto per l’Italia che ha tra le sue mani l’oro grezzo ma che non ha ancora coscienza che la prima ricchezza di un paese è la sua diversità cioè le risorse umane con tutto ciò che può implicare.

Un abbraccio forte e di sicuro ti scriverò presto per darti mie notizie.

Tuo figlio che ti vuole bene!

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